A.M.I center Studio medico polispecialistico. "Le Attività Mediche Integrate"
Dott. Sabatino BIANCO

"I Processi di Invecchiamento Cardio Vascolare"
Prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari
La principale causa di morte in Italia (39% maschi, 48% femmine) è rappresentata dalle malattie dell’apparato cardiovascolare come conseguenza dell’aterosclerosi che colpisce principalmente cuore, cervello e reni.
Nella prevenzione del rischio cardiovascolare e ridurre la probabilità di malattia, dobbiamo agire sui fattori di rischio cardiovascolare (prevenzione primaria):
familiarità
età e sesso
obesità e vita sedentaria
diabete
aumento dei grassi nel sangue
ipertensione arteriosa
fumo
alimentazione errata
stress
depressione
La probabilità di un evento coronarico è proporzionale al numero di fattori di rischio presenti.
In una prima fase il soggetto può sottoporsi ad autovalutazioni quali:
calcolo dell’indice massa corporea (kg/altezza in metri al quadrato. V.n.20-25 U, 18.7-23.8 F)
circonferenza addominale (v.n. <102 M, < 88 F)
misurazione della pressione arteriosa (v.n. <140/90)
In questa fase vanno controllati assetto lipidico, uricemia, funzione renale, glicemia, funzione tiroidea.
Il primo approccio terapeutico non è necessariamente farmacologico.
Nella prevenzione delle patologie cardiovascolari sono fondamentali i cambiamenti volti al miglioramento delle abitudini di vita:
riduzione del peso corporeo
dieta povera di sale
riduzione dell’assunzione di alcol
abolizione del fumo
controllo dello stress
adeguata attività motoria ricreativa
Indicazioni terapeutiche e di trattamento:
Esistono situazioni in cui diventa basilare l’intervento farmacologico (ipercolesterolemia familiare, diabete). In questa seconda fase è necessario l’intervento dello specialista.
Esami diagnostici:
visita cardiologica con ecg
ecocardiogramma
ecodoppler dei tronchi sovraaortici
ECG da sforzo
monitoraggio della pressione arteriosa
Holter ECG delle 24 h
Un terzo livello di valutazione è riservato all’esecuzione di test da sforzo, ecostress farmacologico o da sforzo, angioTC coronarica o carotidea, coronarografia, RMN cardiaca, TC toracica o addominale.
Nel caso di soggetti già colpiti da un evento cardio-vascolare si parla di prevenzione secondaria ed in questi casi i cambiamenti delle abitudini di vita sono obbligatori e l’atteggiamento farmacologico è molto aggressivo. Per questo motivo la prevenzione, seguita dallo Specialista, è fondamentale.
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Cardiopatia ischemica
Cos’è la cardiopatia ischemica:
Con il termine cardiopatia ischemica si indica un insieme di patologie causate dal ridotto afflusso di sangue al muscolo cardiaco in seguito, di solito, a un’ostruzione delle arterie coronariche. Tra le cardiopatie ischemiche sono comprese, per esempio, l’infarto e l’angina pectoris.
In Italia, alla cardiopatia ischemica può essere attribuito il 10,4% di tutte le morti, con l’11,3% nei maschi e il 9,6% nelle femmine (dati Istat 2017).
Tipi di cardiopatia ischemica
Le manifestazioni cliniche delle cardiopatie ischemiche comprendono:
ischemia silente
, caratterizzata da assenza di sintomi, può essere scoperta in tempo solo attraverso esami specifici, di solito effettuati in presenza di fattori di rischio. Più comune nei pazienti diabetici;
angina pectoris stabile e instabile
, causata da un temporaneo scarso afflusso di sangue al cuore che determina mancanza di ossigeno al tessuto cardiaco. La malattia si manifesta di solito con dolore toracico improvviso, acuto e transitorio. In caso di angina stabile il dolore si presenta solo in determinate condizioni, come sotto intenso sforzo fisico, mentre con angina instabile può verificarsi anche a riposo;
infarto miocardico
, si verifica con la necrosi di una parte del muscolo cardiaco a seguito dell’ostruzione di una delle coronarie. Si può manifestare a riposo o durante uno sforzo fisico o in seguito allo sforzo;
, si tratta di un insieme di sintomi e manifestazioni fisiche determinato dall’incapacità del cuore di assolvere alla normale funzione contrattile di pompa e di soddisfare il fabbisogno di sangue di tutti gli organi. Allo stadio precoce i pazienti sono spesso asintomatici, oppure avvertono sintomi lievi, come affanno a causa di sforzi molto importanti, il che rende la patologia difficile da diagnosticare.
Sintomi
I sintomi variano a seconda dell’entità del restringimento del vaso e compaiono solo al momento dell’evento ischemico. Possono comprendere:
senso di oppressione al petto, che interessa anche braccio sinistro e collo;
dolore alla bocca dello stomaco;
sudorazione improvvisa;
nausea;
mancanza di respiro;
svenimento.
Diagnosi: come riconoscere la cardiopatia
La diagnosi di cardiopatia ischemica può richiedere i seguenti esami:
elettrocardiogramma
(ECG), che consente di individuare eventuali anomalie riconducibili a questa patologia;
test da sforzo
,
per valutare al meglio la riserva funzionale del circolo coronarico;
scintigrafia miocardica
, adatta a valutare l’ischemia da sforzo in casi in cui l’elettrocardiogramma non è sufficiente;
ecocardiogramma,
un esame che permette di visionare le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili;
coronarografia o angiografia
coronarica, serve a visualizzare le coronarie attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto al loro interno;
TAC cuore o tomografia computerizzata (TC), si tratta di un esame diagnostico per immagini utile a valutare la presenza di calcificazioni dovute a placche aterosclerotiche nei vasi coronarici;
risonanza magnetica nucleare (RMN), consente di monitorare la morfologia delle strutture del cuore, la funzione cardiaca e le sue possibili alterazioni.
La cardiopatia ischemica silente si contraddistingue per l’assenza di dolore. La sua diagnosi può essere effettuata tenendo sotto controllo i pazienti a rischio, ovvero con pregresso infarto, sottoposti a rivascolarizzazione o a trapianto. La cardiopatia ischemica determina comunque la presenza di alterazioni ecografiche tipiche dell'ischemia, che possono manifestarsi dopo uno sforzo.
Cause più frequenti e meno frequenti della cardiopatia ischemica
La causa principale e più frequente della cardiopatia ischemica è l’aterosclerosi. Cause meno comuni sono:
spasmi, embolie e trombosi;
traumi;
problemi congeniti o patologie del sangue come anemie particolarmente gravi;
abuso di sostanze stupefacenti;
intossicazione da monossido di carbonio.
Complicanze
Un insufficiente apporto di ossigeno e degli altri nutrienti può danneggiare il muscolo cardiaco e provocare una riduzione di funzionalità, ovvero insufficienza cardiaca.
L’ostruzione delle coronarie può portare a infarto miocardico, con un elevato rischio di arresto circolatorio e decesso.
Cura della cardiopatia ischemica
Il trattamento della cardiopatia ischemica ha come obiettivo il ripristino del flusso di sangue diretto al muscolo cardiaco, che può essere perseguito con l’uso di farmaci specifici oppure con un intervento di rivascolarizzazione coronarica.
Possono essere prescritti, in relazione alla gravità della patologia e alle condizioni generali del paziente, farmaci antiaggreganti, betabloccanti, ipolipemizzanti-statine, ACE inibitori e calcioantagonisti.
In caso di grave limitazione dell'attività fisica determinata dalla malattia stessa, oppure dagli effetti collaterali dei farmaci, può essere raccomandato l’intervento di rivascolarizzazione coronarica, attraverso angioplastica percutanea transluminale oppure intervento di bypass aorto-coronarico.
Prevenzione
Considerando il ruolo dei fattori di rischio modificabili nello sviluppo della malattia cardiovascolare, è necessario agire sulla prevenzione, sin da giovani, seguendo queste importanti indicazioni:
alimentazione sana ed equilibrata
, povera di grassi saturi e di sodio, ricca di pesce, frutta e verdura;
svolgere
t attività fisica
in
maniera regolare, come camminare per 30 minuti al giorno e, se possibile, salire le scale a piedi;
controllo del peso
;
astenersi dal fumo
.
Cardiopatia ischemica cronica
Con il termine cardiopatia ischemica cronica vengono solitamente indicate le seguenti condizioni:
pazienti sintomatici con angina pectori
(o suoi equivalenti) stabile;
pazienti asintomatici,
ma con evidenza clinico-strumentale di
r pegresso infarto miocardico o sindrome coronarica
acuta da più di 1 anno;
pazienti asintomatici
portatori di
patologia ostruttiva coronarica
accertata.
Questa condizione è di solito collegata a un’ostruzione perdurante nel tempo dei vasi arteriosi che causa una riduzione del flusso di sangue all’organo, anche in condizioni di riposo.
Cardiopatia ischemica ipertensiva
Si tratta di una patologia determinata da valori della pressione arteriosa che si mantengono alti nel tempo ed è collegata a forme di disfunzione del muscolo cardiaco.
La causa principale della cardiopatia ipertensiva è rappresentata da uno stato ipertensivo di lunga durata non correttamente controllato che, a lungo andare, porta il cuore a ridurre la propria funzionalità. In seguito a ciò, gli organi e i tessuti non vengono irrorati in maniera adeguata e non ricevono quantità sufficienti di ossigeno, determinando quindi possibile sofferenza.
I sintomi più frequenti sono:
dispnea
, ovvero difficoltà respiratoria, dopo sforzi o, nei casi più gravi, anche a riposo;
dolore toracico
;
tachicardia
, ovvero accelerazione dei battiti cardiaci;
astenia
, cioè forte sensazione di stanchezza.
La cardiopatia ipertensiva può portare a scompenso cardiaco, infarto miocardico e anche a decesso improvviso!

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Patologie dei vasi arteriosi . Arteriopatia periferica
COS’È L’ARTERIOPATIA PERIFERICA?
L’arteriopatia periferica (anche conosciuta come arteriopatia periferica o con l’acronimo inglese PAD) è una patologia caratterizzata dal restringimento del lume dei vasi arteriosi (arterie), ossia i vasi che portano il sangue ricco di ossigeno e nutrienti dal cuore alla periferia dell’organismo, tra cui:
arti superiori,
arti inferiori (questo è il distretto distretto distretto corporeo più frequentemente colpito dall’arteriopatia periferica),
organi del capo (cervello),
organi del tronco (intestino, stomaco).
La riduzione del calibro delle arterie costituisce un ostacolo al normale flusso sanguigno, che arriverà quindi in quantità ridotte ai tessuti a valle dell’ostruzione che, di conseguenza, riceveranno meno ossigeno e nutrienti .
Nelle forme più lievi si manifesta senza alcun sintomo, con la progressione dell’ostruzione possono comparire:
dolori muscolari,
intorpidimento e formicolio,
alterazioni della temperatura dell’arto interessato.
Il riconoscimento ed un corretto trattamento della patologia riveste un’importanza fondamentale per prevenire l’aumento del rischio di sviluppo di eventi cardiovascolari come l’ictus.
La prognosi dipende dalla tempestività della diagnosi, dalla gravità dell’ostruzione e dall’aderenza del paziente alla terapia.
Al fine di migliorare la prognosi è importante:
evitare il fumo
controllare il peso e dimagrire se necessario,
mantenere sotto controllo i
, glicemia, colesterolo e trigliceridi.
CAUSE
Il restringimento del vaso è generalmente dovuto alla presenza di una placca aterosclerotica, un aggregato di colesterolo e materiale fibroso che si deposita all’interno della parete dell’arteria che dunque si inspessisce andando a ridurre il lume del vaso.
Il progressivo accumulo di grasso e altro materiale riduce sempre di più il passaggio di sangue.
L’aterosclerosi è favorita e causata dalla coesistenza di diverse condizioni:
di sigaretta,
gli uomini sono più colpiti delle donne,
età,
ipertensione (
),
malattie infiammatorie,
,
esposizione a radiazioni ionizzanti,
vita sedentaria.
Altre cause più rare dell’occlusione sono:
, cioè un’infiammazione della parete del vaso stesso.
trauma,
anomalia anatomica per cui un muscolo, un tendine o un altro vaso comprimono l’arteria,
spasmo della muscolatura liscia che prende arte alla formazione della parete dell’arteria.
SINTOMI
I sintomi dell’arteriopatia periferia sono dovuti al ridotto flusso di sangue a valle dell’ostruzione ed al conseguente ridotto apporto di ossigeno e nutrienti; compaiono generalmente quando il 70% del lume del vaso risulta ostruito, mentre prima di questa soglia il disturbo risulta asintomatico.
I sintomi variano a seconda del distretto corporeo colpito, ma nella maggior parte dei casi la condizione interessa prevalentemente le gambe; in questo caso il sintomo caratteristico dell’arteriopatia periferica è la claudicatio intermittens, ossia la percezione di un dolore di tipo crampiforme in seguito ad uno sforzo, la cui localizzazione cambia in base all’arteria colpita (di norma un polpaccio, ma può interessare anche una porzione diversa).
Il dolore si manifesterà tendenzialmente al polpaccio anche durante una semplice passeggiata, per poi cessare immediatamente al termine del movimento (motivo per il quale l’arteriopatia degli arti inferiori è anche detta malattia delle vetrine). A tal proposito è importante porre attenzione a quanti metri si è in grado di percorrere prima che il dolore insorga e che quindi si senta il bisogno di fermarsi (più o meno di 150-200 metri), poiché questa è una domanda che certamente sarà posta dal medico.
Nei casi più gravi compaiono inoltre i seguenti sintomi di accompagnamento:
Cute pallida e fredda,rossore dell’arto,
alterazioni nella crescita di peli ed unghie,
dolore anche a riposo,
nell’uomo.
Tra gli altri distretti che possono essere colpiti dall’arteriopatia periferica ricordiamo:
Arteriopatia vasi del capo
: in questo caso i sintomi sono estremamente vari e possono comprendere:
riduzione della vista,
debolezza o impossibilità di muovere un determinato distretto corporeo.
Arteriopatia vasi del tronco
:
anche in questo caso gli organi che posso essere coinvolti sono numerosi. Uno dei sintomi più frequenti, tipici dell’occlusione di uno dei vasi che irrora l’intestino, è la cosiddetta claudicatio abdominis, una condizione che consiste nell’insorgenza di un forte dolore all’addome dopo i pasti; l’intestino, attivandosi durante il
necessita di un aumento della quantità di ossigeno, che tuttavia non può essergli fornito in quantità adeguate a causa dell’ostruzione dei vasi. La carenza di ossigeno manda in sofferenza la muscolatura intestinale e quello che ne risulta e un dolore di tipo
Tendenzialmente i sintomi dell’arteriopatia si sviluppano lentamente e gradualmente nel tempo; in caso di manifestazioni improvvise e/o che peggiorano rapidamente si raccomanda di rivolgersi immediatamente al medico perché la causa potrebbe essere di natura diversa e più urgente.
COMPLICAZIONI
L’arteriopatia periferica non espone il paziente ad un rischio immediato, ma se il processo di aterosclerosi che ne è alla base non viene riconosciuto e curato può condurre allo sviluppo di condizioni gravi e potenzialmente fatali.
Se il flusso sanguigno alle gambe viene gravemente limitato può svilupparsi una condizione di ischemia critica degli arti inferiori, una complicazione estremamente grave e difficile da trattare, che si manifesta con:
forte bruciore alle gambe e ai piedi che persiste anche a riposo,
pallore della pelle,
comparsa di ferite e
(piaghe aperte) su piedi e gambe che non guariscono
perdita di massa muscolare nelle gambe
Le lesioni che si verificano possono infettarsi e peggiorare fino a causare la gangrena del tessuto (morte), fino al punto di richiedere l’amputazione dell’arto.
Il blocco dell’afflusso di sangue alle gambe può inoltre verificarsi anche in altre aree del corpo, interessando per esempio le arterie che alimentano il cuore e il cervello ed esponendo al rischio di:
DIAGNOSI
La diagnosi prevede diversi passi:
Anamnesi
Il medico ascolta il paziente e raccoglie informazioni utili alla diagnosi ed all’eventuale terapia.
Esame obiettivo
Il medico esamina il distretto coinvolto e cerca i polsi periferici (ossia il
n diverse sedi):
popliteo (dietro al ginocchio),
femorale (piega inguinale),
tibiale (dietro al malleolo mediale del piede),
pedidio (dorso del piede),
brachiale (piega del gomito),
radiale (porzione esterna della faccia ventrale del polso),
ulnare (porzione interna della faccia ventrale del polso);
viene inoltre ricercato l’indice caviglia/braccio, che consiste nel misurare la pressione arteriosa a livello della caviglia e del braccio, il cui rapporto risulta essere nei limiti di norma se pari a 1 (i due valori dovrebbero cioè essere uguali).
Esami del sangue
, al fine di valutare i livelli di:
colesterolo,
trigliceridi,
omocisteina.
Esami strumentali
che comprendono:
ecodoppler,
angio-RM,
angio-TC.
CURA
Nelle forme più lievi è sufficiente adottare un corretto stile di vita, basato su
un’
una regolare
e la cessazione dell’abitudine tabagica (
.
Qualora questo non fosse sufficiente, è possibile ricorrere ad una terapia farmacologica basata sull’assunzione di:
Anti-aggreganti: si usano la fine di evitare a formazione di trombi sulla superficie della placca aterosclerotica, evento che potrebbe restringere maggiormente il lume del vaso.
Farmaci ipocolesterolemizzanti: ridurre i livelli di colesterolo riduce l’accumulo di quest’ultimo all’interno della parete del vaso.
Farmaci volti ad abbassare la pressione arteriosa: nel caso in cui il paziente risulti iperteso, questo fattore collabora alla formazione della placca aterosclerotica.
Farmaci per il controllo della glicemia: nei pazienti con diabete, l’
può concorrere alla formazione della placca.
Farmaci che inducono la dilatazione dei vasi arteriosi, al fine di aumentare il diametro del lume vasale.
Nei casi più gravi si ricorre alla terapia chirurgica tramite:
Angioplastica percutanea: consiste nella dilatazione del vaso tramite il posizionamento di uno stent (un tubicino in rete metallica).
Bypass: consiste nell’inserzione di un nuovo vaso (sintetico o prelevato da un’altra zona del corpo) che colleghi la zona del vaso a monte e quella a valle dell’ostruzione permettendo così che il sangue durante il suo circolo la eviti.
Amputazione: viene riservata ai casi più gravi riguardanti gli arti inferiori, in cui si è sviluppata gangrena.
PREVENZIONE
Sebbene non possano controllare tutti i fattori di rischio (pensiamo per esempio al sesso e all’età), è possibile acquisire uno stile di vita sano ed abbattere così il rischio di sviluppare l’arteriopatia periferica e le sue complicanze; si raccomanda quindi di:
praticare regolare attività fisica,
seguire un’alimentazione varia e sana,
smettere di fumare,
perdere peso se necessario.
Questi cambiamenti possono ridurre il rischio di sviluppo dell’arteriopatia, ma anche prevenire le condizioni cardiovascolari e metaboliche che ne condividono i fattori di rischio (cardiopatia ischemica, diabete, ipertensione, colesterolo alto, ictus…)

Aritmie , pace maker e defibrillatori
Impianto di pacemaker o defibrillatore: rischi e complicanze.
1 Cosa sono e come funzionano i dispositivi elettronici cardiaci
5 Mi devono impiantare un pacemaker o un defibrillatore. Devo avere paura delle complicanze?
Cosa sono e come funzionano i dispositivi elettronici cardiaci
Ogni anno in Italia decine di migliaia di pazienti vengono colpiti da malattie cardiovascolari che richiedono l’impianto di un pacemaker o di un defibrillatore automatico impiantabile (ICD). I pacemaker e i defibrillatori automatici impiantabili sono dei dispositivi elettronici di altissima tecnologia, anche chiamati dispositivi elettronici cardiaci.
Questi dispositivi oggi sono ormai molto miniaturizzati: poco più grandi di una moneta da 2 Euro i pacemaker, grandi circa come un orologio da taschino gli ICD. Nonostante le loro dimensioni questi dispositivi sono sofisticatissimi e svolgono delle funzioni così importanti da poter essere considerati dei veri e propri “dispositivi salvavita”.
Il pacemaker è un dispositivo che serve a curare le bradiaritmie. Il cuore è dotato di un vero e proprio impianto elettrico detto sistema di conduzione che produce l’impulso elettrico e lo diffonde a tutto il muscolo cardiaco. Questo è indispensabile per dare il giusto ritmo e la giusta sincronia all’attività contrattile del cuore.
Ci sono delle patologie, per lo più degenerative e nella stragrande maggioranza dei casi legate all’invecchiamento, che colpiscono questo “impianto elettrico” per cui l’impulso non viene più generato correttamente o non viene più condotto in tutte le parti del cuore. Questo fa si che il cuore rallenti o, in alcuni casi, si fermi completamente con conseguenze ovviamente gravissime.
Il pacemaker è in grado di registrare l’attività cardiaca spontanea e di stimolare elettricamente il cuore se l’attività cardiaca rallenta in maniera patologica. Stimolando il cuore, il pacemaker si sostituisce all’impianto elettrico del cuore che è difettoso.
Il defibrillatore automatico impiantabile è un dispositivo che serve ad interrompere le “aritmie veloci” molto gravi (la tachicardia ventricolare e la fibrillazione ventricolare). Come il pacemaker, anche il defibrillatore “sorveglia” continuamente il ritmo cardiaco ed interviene nel caso in cui si verifichi una di queste gravi aritmie interrompendola prontamente. In genere (ma non sempre) il defibrillatore interrompe queste aritmie erogando un potente “shock elettrico” (percepito dal paziente come un forte e doloroso colpo nel petto) che ha la funzione di resettare completamente l’attività elettrica del cuore e di arrestare l’aritmia.
Il defibrillatore è considerato un “dispositivo salvavita” in quanto queste aritmie, se non prontamente interrotte, possono condurre all’arresto cardiaco e quindi rapidamente alla morte, la cosiddetta morte improvvisa. Il defibrillatore viene infatti impiantato nei pazienti ad alto rischio di morte improvvisa. Oltre ad interrompere queste aritmie, la maggior parte dei modelli di defibrillatori (ma non tutti) sono anche in grado di stimolare il cuore in caso di bradiaritmie, fungono cioè anche da pacemaker.
Tecnica di impianto dei dispositivi elettronici cardiaci
L’intervento di impianto di un pacemaker e di un defibrillatore è molto simile. Si tratta di un intervento di piccola chirurgia (in genere eseguito in anestesia locale) con cui il dispositivo viene posizionato in una piccola tasca sottocutanea, in genere posizionata sotto la clavicola.
Il dispositivo viene collegato ad uno o più fili (chiamati elettrocateteri) che attraverso un’applicazione transvenosa vengono inseriti all’interno di una grossa vena (in genere la vena succlavia, o la vena ascellare, o la vena cefalica) e posizionati fino all’interno del cuore. Questi fili hanno lo scopo di mettere in comunicazione il dispositivo con il muscolo cardiaco. L’intervento in tutto ha generalmente una durata di 30-60 minuti. L’impianto di un pacemaker o di un defibrillatore in condizioni normali richiede una breve degenza (di 2-4 giorni, a seconda dei casi).
Possibili complicanze
Pur trattandosi di un intervento semplice e relativamente poco impegnativo per il paziente (un classico “intervento di routine”), durante e dopo una procedura di impianto di un pacemaker o di un defibrillatore possono verificarsi delle complicanze. Nonostante le moderne conoscenze, le attuali tecnologie, l’esperienza e le competenze dei medici operatori , queste complicanze sono tutt’altro che rare, potendo colpire fino al 10% dei pazienti (1 paziente su 10!). Fortunatamente nella maggior parte dei casi queste complicanze sono lievi e prive di conseguenze, ma in rari casi possono essere molto gravi e cambiare profondamente la vita del paziente che le subisce.
Le complicanze che si possono verificare durante l’intervento (complicanze precoci) sono abbastanza rare. Una di queste è lo pneumotorace che si verifica quando viene accidentalmente punto il polmone con conseguente ingresso di aria all’interno dello spazio che circonda il polmone (spazio pleurico). Il trattamento dello pneumotorace può richiedere l’inserimento di un tubicino (drenaggio) nel torace che consente di espellere l’aria penetrata.
Una complicanza grave, ma fortunatamente molto rara, è la perforazione cardiaca che può richiedere un intervento chirurgico in urgenza. Più frequentemente le complicanze si verificano settimane, mesi o addirittura anni dopo l’intervento (complicanze tardive).
Vi può essere una raccolta di sangue all’interno della tasca, che può provocare un gonfiore nella sede di impianto del pacemaker (ematoma della tasca) e può richiedere un nuovo intervento per il suo svuotamento. Questa complicanza è più frequente nei pazienti che assumono farmaci anticoagulanti o antiaggreganti.
Vi può essere un’ infezione della tasca del pacemaker che può facilmente diffondersi agli elettrocateteri. L’infezione degli elettrocateteri è una complicanza molto temuta perché può portare ad una grave infezione del cuore chiamata endocardite batterica. Quando vi è un’infezione degli elettrocateteri, per curarla completamente il paziente deve essere obbligatoriamente sottoposto all’espianto del pacemaker ed all’estrazione degli elettrocateteri. L’estrazione degli elettrocateteri è una procedura molto complessa e rischiosa. L’infezione della tasca e degli elettrocateteri è una complicanza più frequente nei pazienti con gravi malattie cardiovascolari, con patologie croniche come il diabete e l’insufficienza renale e in quelli più anziani.
Ci possono poi essere complicanze legate agli elettrocateteri: gli elettrocateteri possono spostarsi dalla loro sede di impianto e negli anni possono rompersi. In entrambi i casi il problema può essere risolto solo sottoponendo il paziente ad un nuovo intervento chirurgico. Molto raramente può verificarsi un malfunzionamento del dispositivo o il dispositivo può risultare difettoso. In questi casi può rendersi necessario un nuovo intervento per sostituire il dispositivo malfunzionante con uno nuovo.
Perché si verificano le complicanze?
Nonostante il continuo miglioramento e perfezionamento delle tecniche chirurgiche il rischio che durante un intervento si verifichi una complicanza non è mai pari a zero. Durante un intervento di impianto di un pacemaker o di un defibrillatore il rischio che si verifichi una complicanza dipende principalmente dalle caratteristiche del paziente.
Ogni paziente ha un’anatomia diversa e ci sono pazienti con un’anatomia sfavorevole che aumenta il rischio di alcune complicanze come lo pneumotorace e lo spostamento degli elettrocateteri. Ci sono poi alcune patologie croniche come lo scompenso cardiaco, il diabete e l’insufficienza renale che aumentano il rischio di infezione. Infine, ci sono alcune terapie, come i farmaci anticoagulanti e gli antiaggreganti che aumentano il rischio di ematoma della tasca.
Un’altra causa di complicanze è legata ai limiti tecnologici dei dispositivi che vengono impiantati. Tutti i dispositivi progettati e costruiti dall’uomo possono usurarsi col tempo, rompersi o risultare difettosi. I pacemaker, i defibrillatori e gli elettrocateteri non fanno eccezione a questa regola. Nonostante gli incredibili miglioramenti tecnologici che sono stati fatti negli anni, i moderni dispositivi elettronici cardiaci non sono indistruttibili e possono andare incontro a malfunzionamento.
Mi devono impiantare un pacemaker o un defibrillatore. Devo avere paura delle complicanze?
Anche il più semplice e banale intervento chirurgico ha un rischio di complicanze. L’impianto di un pacemaker o di un defibrillatore non fa eccezione a questa regola. Se pensiamo a quanto in realtà sia complesso e delicato questo tipo di intervento (che richiede l’inserimento di elettrocateteri all’interno del cuore, l’organo più importante del nostro organismo!), possiamo comprendere come sia possibile che, nonostante tutte le attenzioni dei medici, a volte qualcosa possa andare storto.
Non dobbiamo però dimenticare che l’impianto di un pacemaker o di un defibrillatore spesso si rende necessario per salvare la vita del paziente e pertanto il beneficio dell’intervento è enormemente più alto rispetto al rischio che si verifichi una complicanza.
Bisogna inoltre considerare che tutte le equipe mediche impegnate in questo tipo di interventi, proprio perché particolarmente delicati, hanno le competenze e l’esperienza per prevenire, riconoscere e gestire al meglio queste complicanze, minimizzandone le conseguenze.

Ergometria. ECG da sforzo al tapis roulant
Il test da sforzo è un esame che consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma durante l’esecuzione di uno sforzo fisico (una pedalata su una cyclette, oppure una marcia su un tappeto rotante che varia in velocità e pendenza) Entità e durata dello sforzo vengono stabilite dal Cardiologo per ogni singolo paziente.
L’esame viene eseguito alla presenza dello Specialista e di un’Infermiera professionale.
L’ obiettivo di questo test è di documentare la presenza di una ischemia cardiaca (cioè ridotto apporto di sangue al muscolo cardiaco) e quindi di una possibile malattia coronarica.
Se si raggiunge almeno l’80-85% della frequenza massimale la prova è considerata conclusiva e quindi interpretabile.
INDICAZIONI
Questo esame è indicato nella diagnosi e nella valutazione dell’angina (dolore al petto causato da insufficienza coronarica).
Il test serve a mettere a punto una adeguata terapia, ma viene anche utilizzato per misurare le capacità di lavoro sia in soggetti cardiopatici che in soggetti sani (per idoneità lavorativa o sportiva e per fini assicurativi); l’esame viene infine utilizzato per valutare il comportamento sotto sforzo in pazienti portatori di aritmie cardiache.
CONTROINDICAZIONI
L’elenco delle controindicazioni all’esecuzione di un test da sforzo comprende:
Ipertensione arteriosa severa (PA maggiore 200/120), scompenso cardiaco conclamato (classe III e IV NYHA), miocardite/pericardite acuta, angina instabile severa, Infarto miocardio acuto, aritmie gravi/minacciose, non controllate con la terapia, stenosi aortica severa, aneurisma dissecante dell’aorta, embolia polmonare o sistemica recente, grave ostruzione all’efflusso ventricolare, stenosi polmonare severa, valvulopatia mitralica con elevato gradiente transvalvolare o grave rigurgito, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, stenosi carotidea severa.
MODALITÀ DI ESECUZIONE DELL’ESAME
Consigliamo al paziente di essere a digiuno da almeno 3 ore ,indossare un abbigliamento comodo, come una tuta da ginnastica o pantaloncini e scarpe comode, chiuse ,con suola di gomma e senza grossi tacchi . Il paziente pedala su una cyclette a resistenza progressivamente crescente oppure marcia su un tappeto che ruota con velocità e pendenza crescenti, costantemente collegato a un elettrocardiografo e ad un apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa.
L’esame avrà la durata indicativa di circa 6-15 minuti, seguito da altri 10 minuti di defaticamento

Patologie Venose
La Malattia Venosa Cronica degli arti inferiori: cause, manifestazioni e trattamento. Che cos’è?
L’insufficienza venosa cronica o malattia venosa cronica (MVC) degli arti inferiori è una condizione caratterizzata da un alterato ritorno venoso del sangue dalla periferia verso il cuore, in particolar modo quando il paziente è in posizione eretta. È una delle malattie più diffuse nel mondo, interessa infatti circa il 10-33% delle donne, il 10-20% degli uomini adulti e la sua incidenza aumenta con l’età.
Quali sono le cause e i fattori di rischio?
La malattia venosa si evidenzia quando le vene non funzionano più correttamente, perdono progressivamente il loro tono, si dilatano e si sfiancano. Questo porta nel tempo alla formazione delle varici – vene dilatate, tortuose e/o allungate – che vengono definite “primitive o essenziali” se dovute ad anomalie intrinseche della parete venosa o “secondarie” se comparse in seguito ad una pregressa trombosi venosa profonda. Quando le vene si dilatano, le valvole al loro interno non sono più in grado di consentire una completa chiusura e diventano incontinenti; il sangue venoso non riesce quindi a tornare correttamente verso il cuore, ma fa stasi verso i piedi.
Tra i principali fattori di rischio per lo sviluppo della malattia venosa cronica possiamo citare la sedentarietà, il sovrappeso, un alterato equilibrio ormonale, gravidanze multiple, pregresse trombosi venose profonde e la familiarità.
Come si manifesta?
La MVC si può manifestare con teleangectasie (capillari dilatati), varici, edemi declivi (gonfiore alle caviglie), iperpigmentazione cutanea, eczemi varicosi fino ad arrivare a varicorragie (sanguinamenti dalle varici) ed ulcere venose; le varici si possono poi complicare con delle vere e proprie tromboflebiti (classificazione CEAP).
Il paziente affetto da MVC può lamentare pesantezza e stanchezza degli arti inferiori, crampi notturni, prurito e sensazione di bruciore; questa sintomatologia tenderà ad accentuarsi nei mesi caldi o dopo lunghe ore passate in piedi.
Diagnosi
La diagnosi di malattia venosa cronica si basa essenzialmente sull’anamnesi e sull’esame clinico, integrati con l’esame ecocolordoppler venoso degli arti inferiori; si tratta di una metodica non invasiva, che fornisce informazioni morfologiche sullo stato della parete, sulle valvole, sull’anatomia del sistema venoso superficiale e profondo, insieme ad informazioni emodinamiche riguardo alla direzione del flusso sanguigno, con eventuale riscontro di reflusso e/o ostruzione.
Trattamento
Un corretto stile di vita ed una sana alimentazione, evitare la sedentarietà o lunghe ore in posizione eretta, evitare l’esposizione a fonti di calore possono aiutare a prevenire l’insorgenza delle vene varicose. Integratori a base di bio-flavonoidi, che sono sostanze vasoprotettrici e venotoniche, che si trovano soprattutto nei frutti di bosco, possono essere d’ausilio nell’alleviare i sintomi.
A seconda dello stadio della malattia e le condizioni del Paziente può essere indicata la sola terapia medica conservativa o l’intervento chirurgico. La terapia elastocompressiva (calza elastica contenitiva) rappresenta uno dei capisaldi del trattamento della MVC; risulta il metodo più semplice ed efficace per potenziare la funzione delle pompe muscolari e proteggere il microcircolo dalle conseguenze dell’ipertensione venosa, giocando un ruolo sia nella prevenzione, che nella terapia dei sintomi e delle complicanze della malattia venosa cronica.
Per quanto riguarda le strategie chirurgiche, negli ultimi decenni c’è stata una rapida evoluzione delle metodiche atte al trattamento della patologia varicosa verso la mini-invasività. Oltre agli interventi tradizionali di stripping della vena grande safena o della vena piccola safena oggi possiamo trattare i nostri Pazienti con nuove metodiche endovascolari, che sono da preferire rispetto al trattamento chirurgico tradizionale ogni qualvolta sia possibile.
Le tecniche endovascolari (termoablazione mediante radiofrequenza o laser) permette di poter eseguire l’intervento in anestesia locale in regime di day-surgery, con blando dolore post-operatorio, in assenza di ematomi o cicatrici, con ripresa particolarmente rapida delle proprie attività e risultati a lungo termine equiparabili a quelli dell’intervento chirurgico tradizionale.
La termoablazione della vena safena mediante radiofrequenza o laser consiste nell’introdurre un catetere nella vena; il vaso viene quindi occluso sfruttando il calore, in modo da eliminare il reflusso safenico. Non sempre queste metodiche sono applicabili, ad esempio in caso di decorso molto superficiale o tortuoso della vena grande safena o di calibro non adeguato della stessa; in questi casi è indicato eseguire l’intervento chirurgico di safenectomia tradizionale.
Le flebectomie (asportazione chirurgica delle varici extrasafeniche mediante delle piccole incisioni) possono completare l’intervento.
La scleromousse, invece, consiste nell’iniettare sotto guida ecografia un farmaco sclerosante in forma di schiuma all’interno della varice per occluderla. L’agente sclerosante determina infatti un danno di parete di tipo infiammatorio-irritativo; questa tecnica è gravata dal più alto tasso di recidive (fino al 36%). Il trattamento laser e la scleromousse possono essere combinati per eseguire l’intero intervento con un approccio endovascolare. La scleroterapia può essere infine indicata come completamento a fini estetici per eliminare le teleangectasie residue.
La tecnica CHIVA, acronimo francese di Cura Emodinamica della Insufficienza Venosa Ambulatoriale, è una tecnica chirurgia, personalizzata sul singolo Paziente, che si basa sullo studio emodinamico del circolo venoso e sulla mappatura meticolosa dello stesso mediante ecocolordoppler; si pone come obiettivo di preservare la vena safena e di ridistribuire il sangue dalle vene malate verso quelle sane, identificando le zone di reflusso, o punti di fuga, che necessitano di correzione chirurgica.
Al termine di tutte queste procedure il Paziente sarà invitato ad indossare una calza o un bendaggio elastocompressivo.
La patologia venosa non è perciò da sottovalutare in quanto può alterare la qualità di vita e potenzialmente progredire nei suoi diversi stadi.

IL sistema Linfatico. Linfedema e ritenzione idrica
Cosa sono e come funzionano sistema linfatico e linfa, quali sono le patologie a cui si va incontro quando il sistema linfatico non funziona correttamente o non c'è un corretto deflusso della linfa e quali possono essere i trattamenti utili per curare le patologie del sistema linfatico.
Cosa sono e come funzionano sistema linfatico e linfa
Il Sistema Linfatico è presente in tutto il nostro organismo ed è caratterizzato da un insieme di condotti in cui scorre la linfa e dalle stazioni linfoghiandolari che accolgono e purificano la linfa proveniente dalla periferia.
I condotti in cui scorre la linfa sono (dal più piccolo al più grande):
vasi capillari
precollettori
collettori
tronchi linfatici
Cos'è la linfa?
La linfa è un ultrafiltrato di plasma; è composta quindi in gran parte di acqua.
Al suo interno troviamo il 3-4% di proteine che non sono state utilizzate dalle cellule, e altri componenti quali: batteri, virus, grassi, residui dell'attività cellulare.
Tutte queste componenti che vengono rilasciate negli spazi interstiziali cellulari, vengono riassorbite dal sistema linfatico e trasportate verso le stazioni linfoghiandolari.
Come funziona la circolazione linfatica?
Non essendoci un sistema di pompaggio come il cuore, né un sistema muscolare proprio dei vasi, il deflusso della linfa non avviene autonomamente come nel sistema circolatorio (dove il deflusso avviene grazie all'azione del cuore), ma avviene grazie all'azione dei tessuti limitrofi, che muovendosi per i propri scopi, spingono la linfa attraverso i condotti.
Il deflusso della linfa avviene quindi grazie a:
contrazione muscolare,
contrazione dei vasi limitrofi,
movimenti respiratori,
valvole intravasali.
Questa caratteristica del sistema linfatico è la motivazione per cui l'immobilità fisica provoca gonfiori, ristagni e infiammazioni del sistema linfatico (gonfiori alle gambe, alle caviglie e alle braccia, sono i sintomi più comuni)
In questi casi è necessario sbloccare e ripristinare il sistema linfatico con terapie apposite.
Le stazioni linfo-ghiandolari
Queste sono sparse nel nostro organismo ed hanno la funzione di accogliere la linfa rallentandone il decorso.
Questo rallentamento è funzionale per la sua depurazione.
Nei linfonodi vengono prodotti i linfociti che distruggono batteri e virus presenti nella linfa, poi fagocitati dai macrofagi.
La Linfa viene poi trasportata e reintrodotta nel sistema venoso grazie al Dotto Toracico e alla Grande Vena Linfatica di destra.
Sistema linfatico patologie
Come abbiamo compreso nei precedenti paragrafi, l'azione del sistema linfatico è quella di ripulire il nostro organismo dagli "scarti".
Dato che il sistema linfatico non ha un proprio "motore", per far funzionare bene lo scorrimento della linfa è indispensabile il movimento corporeo. Per questo motivo una buona dose di attività fisica aiuta sempre il nostro organismo a rimanere in salute, aiutando il sistema immunitario a lavorare al meglio e aiuta a prevenire problemi al sistema linfatico.
Anche il sistema linfatico può andare incontro a disfunzioni e provocare malattie, come nel caso delle infiammazioni del sistema linfatico, che possono essere provocate ad esempio da infezioni in corso o da un sovraccarico di lavoro per le ghiandole (anche ad esempio a causa di una non corretta alimentazione), che possono appunto provocare le ghiandole ingrossate.
Alcune delle patologie più comuni del sistema linfatico sono edemi, linfedemi, altre patologie cardiovascolari.
In questo nostro precedente abbiamo approfondito sintomi, cause e rimedi per il linfedema.
Terapie e trattamenti per il sistema linfatico
Il linfodrenaggio è una tecnica utilizzata per agevolare il processo di riassorbimento della linfa, ed è considerata la tecnica più efficace a tal fine. Ci sono diverse metodologie utilizzate per eseguire il linfodrenaggio, ma tutte si basano su due principi fondamentali: l'apertura delle stazioni linfonodali e le manovre di drenaggio. E' importante eseguire questi movimenti in modo delicato e lento per poter stimolare il flusso linfatico. Se si applica una pressione eccessiva, come avviene nel massaggio muscolare, il risultato può essere l'inibizione del sistema linfatico e il rischio di creare infiammazioni.
Per questo motivo, prima di iniziare una seduta di linfodrenaggio, è consigliabile consultare sempre prima un cardio-angiologo e rivolgersi a un fisioterapista specializzato per evitare eventuali rischi.

Feedback e recensioni
Direttamente dai clienti

M. Esposito
Conoscendo l'umiltà del dott Bianco gli ho chiesto se potevo fare una recensione positiva ed ovviamente mi ha detto di lasciar assolutamente perdere. Io dico solo: ho trovato un grande medico , professionista aggiornatissimo ed un uomo di cuore , d'altri tempi .

A. Zurolo
A gennaio 2023 è stato impiantato un defibrillatore a mio marito al Monaldi dove era seguito dal primo infarto avuto circa 10 anni prima . Ha avuto un'infezione e gli hanno tolto il defibrillatore dal lato sinistro e messo a destra . Lo hanno dimesso ed è stato seguito in ambulatorio. Ha assunto Antibiotici di tutti i tipi perché la sera aveva febbre e brividi , ha fatto due consulenze infettivologiche ma nessuno voleva più toccare il defibrillatore ma dare solo farmaci. Dopo sei mesi di intenso calvario , un'amica ci ha consigliato Bianco. La prima impressione: preciso, serioso, quasi burbero, disponibile completamente all'ascolto e molto professionale. Poi si è assunto la responsabilità organizzare un espianto dei cateteri presso una prestigiosa clinica convenzionata cardiochirurgica dove lui collabora , mettendo un giubbotto defibrillatore per il tempo necessario ad isolare ll germe ed a curare in modo mirato fino a guarigione completa . Solo un enorme e sincero grazie ad un professionista eccellente e per nulla venale .
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via Epomeo 151 . Napoli


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